Eziopatogenesi

Nel 1930 Landy stabilì che la pressione arteriolare media della cute è di circa di 32 mmHg e quella venulare di circa 12 mmHg. Per compressione o pressione si intende una forza applicata perpendicolarmente a una unità di superficie.

Il punto critico dello sviluppo di un’ulcera da pressione si raggiunge quando la forza comprimente fra superficie corporea e piano di appoggio è più alta della pressione vigente nel distretto arteriolo-capillare, per cui viene a crearsi una condizione di ischemia. Ciò si verifica quando in un’area di cute si applica una forza pressoria superiore a 32 mmHg per un periodo di tempo sufficientemente prolungato.

Si è visto che la pressione varia molto nell’arco della giornata , infatti la pressione media a livello delle zone di appoggio, e soprattutto in corrispondenza delle prominenze ossee, in una persona sdraiata su un comune materasso, varia tra i 20 e i 70 mmHg e che a livello dei trocanteri può scendere sino a 9 mmHg senza che questo determini lesioni ulcerative.

La spiegazione di ciò risiede nel fatto che il conseguente accumulo di acido lattico, secondario ad ischemia, sollecita le terminazione nervose che spingono la persona al cambio di posizione.

Se questo meccanismo di difesa non esistesse o se non fosse attuabile, la prolungata compressione dei vasi sanguigni provocherebbe danno endoteliale, edema interstiziale, autolisi e necrosi cellulare; l’occlusione dei linfatici accentuerebbe l’accumulo di cataboliti tossici,l’anaerobiosi e l’acidosi tessutale. Quindi, per comprendere a pieno l’eziopatogenesi delle ulcere da pressione, dobbiamo introdurre il concetto di rapporto pressione/tempo. Infatti è molto più dannosa una moderata pressione esercitata per lungo tempo che una grande pressione esercita per un breve tempo.

Norton, già nel 1962 , identificava in due ore l’intervallo ottimale per modificare l’appoggio del paziente al fine di prevenire l’insorgenza delle lesioni da decubito L’entità del danno tissutale dipende anche dallo spessore locale della cute, dal luogo preciso dove la pressione viene applicata e da diversi fattori di tipo emodinamico come la pressione a livello arteriolare, la viscosità ematica, la deformabilità delle emazie, il valore dell’ematocrito. Tutti questi fattori possono significativamente far diminuire il livello critico del rapporto pressione/tempo.

Nell’insorgere del danno, accanto al rapporto pressione/tempo, si deve verificare la condizione di impossibilità da parte del paziente di riconoscere quelle sensazione dolorose che provengono dalla periferia, sottoposta ad ischemia, e/o nella impossibilità di attivare meccanismi di difesa.

L’importanza di questo meccanismo fisiologico è dimostrata dal fatto che esso è presente anche durante il sonno e la sua alterazione, tanto nella componente afferente sensitiva quanto in quella efferente motoria, aumenta significativamente il rischio di una lesione da decubito (es. pazienti parkinsoniani).

La formazione di una piaga da decubito non è determinata solo dalle forze di compressione esercitate dall’esterno, ma anche da quelle di stiramento e di torsione a carico delle strutture vascolari, e dai fenomeni di macerazione della cute che contribuiscono in maniera significativa alla sua determinazione.

Le forze di stiramento e di torsione delle strutture vascolari si generano quando il paziente viene posto sul proprio letto in posizione seduta o semiseduta.

In queste condizioni il paziente tende a scivolare: mentre però lo scheletro si muove, la cute viene trattenuta dall’attrito. Lo stiramento delle strutture vascolari che ne consegue determina più facilmente la trombosi, aggravando l’ischemia.

Queste forze si applicano anche quando il paziente allettato viene spostato in maniera inadeguata, traumatizzando il reticolo vascolare sottocutaneo.

Con l’avanzare dell’età la cute subisce importanti cambiamenti che includono anche la diminuzione dell’attività proliferativa dell’epidermide, l ‘assottigliamento della giunzione dermo-epidermica, la riduzione del microcircolo, la ridotta risposta infiammatoria locale, la diminuzione della sensibilità e della elasticità.

Negli anziani specialmente in quelli magri e defedati, la cute è spesso lassa e poco aderente ai piani sottostanti per riduzione o mancanza del grasso sottocutaneo.

Inoltre, per la diminuita percezione del dolore, la ridotta risposta immunitaria cellulo- mediata e il rallentamento nella guarigione delle ferite, il danno legato alle forze di stiramento è notevolmente superiore a quello che può manifestarsi in soggetti giovani .


La macerazione della cute è dovuta spesso alle seguenti condizioni:

  • Incontinenza urinaria
  • Incontinenza mista
  • Eccessiva Sudorazione
  • Essudati

Esse aumentano il grado di umidità , riducendo la resistenza cutanea, di per sé già deficitaria per le condizioni di cui abbiamo già detto precedentemente che si determinano con l’invecchiamento.

Infine il danno tessutale va rapportato anche al peso del paziente e alla durezza della superficie d’appoggio.

Infine il danno tessutale va rapportato anche al peso del paziente e alla durezza della superficie d’appoggio. La lesione da decubito tende a svilupparsi in corrispondenza di prominenze ossee. Le strutture muscolari, il sottocutaneo e la cute si trovano compressi tra il piano di appoggio e le strutture scheletriche.

In questa condizione il procedere del danno ischemico interessa per primo i muscoli, in quanto sono più sensibili all’ ischemia. Infatti le sue strutture vascolari vanno incontro a fissurazione della parete più rapidamente delle cute, che risulta essere più resistente agli stati ischemici grazie alla fitta rete di anastomosi vascolare di cui è costituita (teoria del cono di pressione).

La maggiore suscettibilità del muscolo al danno ischemico spiega come in profondità si possano riscontrare fenomeni di necrosi più estesi che non in superficie e come il livello di una lesione cutanea molto iniziale possa essere, in realtà, la manifestazione di un ben più grave danno muscolare sottostante.

In pratica l’ischemia è particolarmente grave nelle zone adiacenti alla sporgenza ossea e la formazione di tessuto necrotico si realizza negli strati profondi prima che il problema si manifesti in superficie: la rottura della cute non fa altro che rendere manifesto il danno preesistente del tessuto sottostante. Possiamo concludere che la progressione della lesione ulcerativa si estende dai piani profondi a quelli superficiali e che la lesione cutanea che noi osserviamo è solo la punta di un iceberg la cui base poggia sul piano osseo.

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